ReArm Europe NATO e UE si preparano alla Terza Guerra Mondiale




di Antonio Mazzeo - 6 giugno 2025 
Usano i nostri soldi per fare assassinare altri popoli, rapinandoci quel poco che ci resta di sanità, pensioni e lavoro. E mettono a rischio di distruzione anche i popoli europei. Disamiamoli… 

Munizioni avanzate e sistemi spaziali e satellitari; artiglieria e missili da crociera, balistici e ipersonici; velivoli con pilota e droni; grandi aerei per il trasporto di equipaggiamenti o truppe; sofisticate attrezzature per la guerra elettronica e cyber; sviluppo dell’Intelligenza Artificiale e della mobilità militare. Alla ricerca e produzione di queste tecnologie di guerra gli Stati membri dell’Unione Europea dovranno destinare ingentissime risorse finanziarie, riconvertendo a uso militare buona parte dell’apparato produttivo e industriale e militarizzando vasti territori del vecchio continente, le infrastrutture logistiche e trasportistiche ed ogni sfera della ricerca, dell’istruzione e dell’informazione. Il libro bianco European Defence Readiness 2030, pubblicato il 19 marzo 2025 dalla Commissione UE, prevede un piano finanziario quadriennale da 800 miliardi di euro per “riarmare” l’Europa in linea con le nuove strategie della NATO e prepararsi allo scontro diretto con i “nemici” dell’Occidente: da subito la Russia di Putin, dopo l’Iran e la Corea del Nord, infine la Cina. Centocinquanta miliardi saranno destinati ad un fondo per “la sicurezza dell’Europa”, il SAFE (Security Action for Europe), per finanziare - tramite prestiti a lunga scadenza ed il concorso di capitali privati - programmi di acquisto di armamenti e di ammodernamento delle forze armate dei Paesi UE. Lo scorso 27 maggio, il Consiglio dell’Unione ha approvato il regolamento del SAFE: i nuovi programmi industriali-militari dovranno essere almeno bi- nazionali ma saranno ammessi “in via transitoria” quelli proposti da un singolo Stato membro. La richiesta di prestiti dovrà essere fatta entro il 30 giugno 2027 e sarà condizionata dalla partecipazione delle imprese UE per almeno il 65% di ogni programma. Al SAFE potranno accedere pure l’Ucraina, la Norvegia, la Svizzera, l’Islanda e il Liechtenstein, i paesi in via di adesione e quelli che hanno sottoscritto con l’UE un partenariato in materia di sicurezza e difesa. Sarà prevista anche la possibilità di avviare programmi di sviluppo militare con le industrie del Regno Unito e della Turchia. Per assicurare gli investimenti nella produzione e approvvigionamento di armi e munizioni necessari a coprire la quota restante di 650 miliardi di euro del piano ReArm Europe, la Commissione UE prevede di attivare la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità (l’accordo tra i Paesi dell’Unione che impone che il deficit pubblico non superi il 3% del Prodotto interno lordo e che il debito pubblico non superi il 60% del PIL). 

Questa deroga “temporanea” – per una durata di quattro anni - consentirebbe agli Stati membri di mobilitare risorse aggiuntive annuali fino all’1,5% del PIL. Bruxelles starebbe pure valutando la possibilità di utilizzare per il mega piano di riarmo una parte di quei fondi europei già stanziati per altri fini, primi fra tutti i “Fondi di coesione” (destinati principalmente alle aree più arretrate del continente per ridurre le disuguaglianze territoriali), non ancora spesi. Entro la fine di giugno sarà presentato dalla Commissione UE il pacchetto Omnibus sulla Difesa che sistematizzerà le norme e i regolamenti che riguardano le certificazioni, le autorizzazioni e gli appalti congiunti per l’acquisizione dei nuovi sistemi bellici. L’insostenibilità economica e sociale di ReArm Europe Numerosi economisti stimano che le proposte riarmiste della Commissione europea comporteranno un’espansione delle spese militari dei paesi UE fino a 580 miliardi di euro circa entro il 2029. Opportuno ricordare come le quote dei bilanci statali per la “difesa” degli Stati membri hanno subito una crescita dal 2021 al 2024 del 31%, raggiungendo i 326 miliardi (1,9% del PIL), anche in conseguenza delle forniture militari all’Ucraina in guerra contro la Russia. Si tratta di cifre enormi, di per sé insostenibili, che hanno già prodotto ricadute catastrofiche in termini di accesso ai servizi sociali di base e al welfare da parte della maggioranza della popolazione europea. “Le vere criticità rilevate sul Piano ReArm Europe si concentrano sulle fonti di finanziamento dei circa 800 miliardi di euro da trovare in un quadriennio”, segnala l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). “Solo un sesto dei fondi arriverebbero da bond europei, sul modello che è stato il programma SURE per finanziare i sussidi di disoccupazione durante la pandemia. 

Il resto, 650 miliardi di euro, sarebbe frutto di debito pubblico nazionale escluso dai parametri del Patto di stabilità (…) Una via che soffre essenzialmente di due limiti. Primo, per sua natura fa ricadere sulle spalle degli Stati l’intero onere di finanziamento sui mercati finanziari. Secondo, il fatto di essere escluso dalle procedure di infrazione europee non comporta l’eliminazione del rischio di rialzi dei rendimenti dei titoli di Stato o di altre turbolenze finanziarie”. L’ISPI calcola che la cifra-obiettivo di 800 miliardi potrà essere raggiunta solo con una forte crescita del deficit pubblico degli Stati UE. “Nel 2026, a metà del piano quadriennale di riarmo, solo la Germania rimarrebbe con un deficit sotto il 3% del PIL tra i grandi Paesi europei; Francia e Polonia supererebbero il 6, mentre Italia e Spagna arriverebbero al 4”, spiega l’ISPI. “Una condizione che non potrà durare per sempre: se le condizioni di sicurezza non mutassero repentinamente, andrebbe messa mano alla leva fiscale o alle voci di spesa pubblica”. Perplessità sono state espresse anche in uno studio della BCE (Banca Centrale Europea). L’attivazione della clausola di salvaguardia per consentire agli Stati membri di aumentare le spese per la difesa dell’ 1,5% del PIL, secondo la BCE, avrebbe come conseguenza “inizialmente, un peggioramento delle dinamiche del debito”, cosicché “la messa in pratica della nuova governance economica è circondata da significativa incertezza”. Per quanto riguarda l’Italia, paese pesantemente indebitato, l’adeguamento al piano di riarmo UE comporterebbe una spesa militare aggiuntiva per 95 miliardi di euro in quattro anni e il deficit pubblico, oggi al 4%, anziché ridursi gradualmente fino al 3% - secondo quanto richiesto da Bruxelles - rischia di crescere fino al 4,6%. L’efficacia stessa di ReArm Europe in termini di potenziamento dell’apparato bellico è messa in discussione da alcuni accreditati commentatori militari. Secondo quanto reso noto da Analisi Difesa il 19 maggio 2025, il costo di quasi tutti i sistemi militari è triplicato dal 2021 al 2024, “elemento che induce a valutare che se oggi le nazioni europee riuscissero a triplicare la quota del bilancio della Difesa e della Funzione Difesa dedicata agli investimenti, con risorse finanziarie triplicate potremmo acquistare lo stesso numero di armi, equipaggiamenti e munizioni di quattro anni or sono”. 

Analisi Difesa ha pure rilevato che dal 2021 al 2024 il prezzo medio dell’esplosivo a uso militare è lievitato del 90%, l’acciaio del 59%, l’alluminio del 50%, i circuiti stampati del 64% e la carpenteria leggera di oltre il 100%. “Le bombe d’aereo Mk 82 da 227 chili sono passate, a seconda del tipo di esplosivo impiegato, da 6 mila a 9 mila e da 12 mila a 20 mila”, aggiunge la rivista specializzata. “Allo stesso modo è cresciuto il costo delle Mk 83 da 554 chili mentre le MK 84 da 908 chili sono raddoppiate di costo, da 30 mila a 60 mila. Queste considerazioni aiutano a comprendere come l’incremento delle spese militari gonfierà i bilanci della Difesa ma non consentirà di acquistare maggiori quantità di sistemi d’arma o munizioni. Anzi, l’aumentato costo dell’energia, dell’esplosivo, delle materie prime in aggiunta alla difficoltà di reperimento delle stesse nelle quantità necessarie, comporta che anche stanziando maggiori risorse finanziarie si potranno acquistare meno prodotti rispetto al 2021 (…) Il massiccio riarmo dell’Europa, nella misura in cui viene oggi da più parti evocato, appare politicamente inattuabile e finanziariamente insostenibile”. Verso la riconversione a fini bellici di industrie, infrastrutture e logistica Aspetto meno analizzato ma altrettanto dirompente di ReArm Europe è l’ulteriore processo di militarizzazione dei territori che esso genererà in alcune aree geostrategiche UE, in particolare nei Paesi dell’Europa orientale. 

Nel Libro bianco si fa esplicito accenno alla creazione di uno Scudo orientale al confine con la Russia e la Bielorussia e di una Linea di difesa del Baltico “per promuovere la deterrenza e contrastare le minacce militari e ibride”. Il rafforzamento dei sistemi di protezione delle frontiere dell’Unione europea, sempre secondo Bruxelles, includerà un “mix completo di barriere fisiche e lo sviluppo delle infrastrutture e di moderni sistemi di sorveglianza”. Anche le reti trasportistiche e le infrastrutture logistiche saranno sottoposte a piani di intervento finanziario affinché siano rese idonee a svolgere funzioni di mobilità militare. “Sono necessari investimenti significativi per migliorare le capacità di trasporto aereo di merci e le capacità in quanto alle infrastrutture per i combustibili mediante depositi, porti, piattaforme di trasporto aereo, marittimo e ferroviario, linee ferroviarie, vie navigabili, strade, ponti e poli logistici, grazie all’elaborazione di un piano strategico per lo sviluppo della mobilità militare, in collaborazione con la NATO”, spiega la UE. “La mobilità militare è un facilitatore essenziale della sicurezza e della difesa europea. Grazie ad essa cresce l’abilità delle forze armate degli Stati membri e degli alleati di spostare rapidamente truppe e attrezzature attraverso l’Unione europea in caso di conflitto o di guerra ibrida intensificata. Per questi trasferimenti, le forze armate hanno la necessità di accedere a infrastrutture critiche che devono essere idonee ad uno scopo duale. Esse hanno bisogno di tutte le modalità di trasporto sia di percorsi multipli attraverso l’Unione europea e di connessioni ai paesi partner”. Il programma EU Military Mobility è stato lanciato nel 2018 per consentire le operazioni in ambito continentale e le missioni extra-area delle forze armate UE e dei paesi membri, ma anche per rispondere alle richieste NATO. A seguito del conflitto russo-ucraino, il 10 novembre 2022 è stato varato il Piano d’azione per la mobilità militare 2.0 per potenziare e/o convertire a fini bellici le infrastrutture trasportistiche UE e dei partner continentali (Ucraina, Moldavia e paesi dei Balcani occidentali) e per “integrare la rete di distribuzione del carburante a supporto della movimentazione delle truppe in tempi rapidi e su larga scala”. Al Piano 2.0 sono state destinate risorse per un miliardo e 700 milioni di euro nel quinquennio 2022-2026. ReArm Europe prevede infine la conversione a fini bellici di ogni settore del sapere, della conoscenza e della ricerca scientifico-tecnologica, a partire ovviamente dal mondo universitario e dell’istruzione secondaria. 

Nella risoluzione sulla politica di sicurezza e di difesa comune approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo il 2 aprile 2025, nel capitolo su Difesa e società, preparazione e prontezza civile e militare, l’Unione Europea e i suoi Stati membri sono chiamati “a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l’importanza delle forze armate, e a rafforzare la resilienza e la preparazione delle società alle sfide in materia di sicurezza” (art. 164). Ribadendo “l’importante ruolo dei giovani e delle organizzazioni giovanili nel mantenimento e nella promozione della pace e della sicurezza”, si chiede, inoltre, “di mettere a punto programmi di formazione dei formatori e di cooperazione tra le istituzioni di difesa e le università degli Stati membri dell’UE, quali corsi militari, esercitazioni e attività di formazione con giochi di ruolo per studenti civili” (art. 167). Scienziati, accademie e industrie belliche per le guerre del XXI secolo Per sostenere la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie belliche la Commissione Europea ha istituito nel 2017 uno specifico “Fondo europeo per la difesa” (European Defence Fund - EDF). Scopo del fondo europeo e quello di “promuovere l’interoperabilità e la mobilità militare, nonché lo sviluppo di un complesso militare-industriale comunitario e sostegno all’innovazione e alle tecnologie critiche che rispondono alla formula del dual use, ovvero di usi civili e militari”. 

Nel periodo compreso tra il 2021 e il 2027 l’EDF ha previsto stanziamenti per 7,3 miliardi; nel 2024 sono stati approvati 62 progetti di ricerca e sviluppo per una spesa complessiva di 910 milioni di euro. Il 3 febbraio 2025 Bruxelles ha annunciato lo stanziamento di 1,065 miliardi di euro per l’anno in corso, principalmente a favore di programmi militari come chiplet per semiconduttori, tecnologie radar 4D multibanda e sensori di ricerca ad infrarossi. Il libro bianco European Defence Readiness 2030 ha chiesto l’aggiornamento e il rafforzamento dell’EDF con maggiori risorse finanziarie onde “creare le condizioni per affrontare sfide tecnologiche, quali minacce avanzate persistenti, intelligenza artificiale e apprendimento automatico, calcolo quantistico, Internet delle cose nel contesto militare, sicurezza, attacchi alla catena di approvvigionamento, sfruttamento delle vulnerabilità zero-day e sicurezza dei cloud”. A tal fine sarà presto creata nell’ambito dell’ Agenzia europea per la difesa (EDA), una sub-agenzia ispirata all’Agenzia statunitense per i progetti di ricerca avanza nel settore della difesa statunitense DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency). Alla grande abbuffata di ReArm Europe guardano con estrema attenzione le holding del vecchio continente produttrici di sistemi bellici, rivedendo piani produttivi ed alleanze anche in vista della creazione di mega-concentrazioni finanziarie ed industriali. A metà marzo l’ex ministro Roberto Cingolani, odierno amministratore legato di Leonardo S.p.A., ha presentato l’aggiornamento del piano industriale dell’azienda per il 2025-2029 con previsioni di ordini, fatturati e dividendi nettamente superiori a quelli del 2024. Nello specifico Leonardo punta ad aumentare le commesse nel quinquennio da 105 a 118 miliardi di euro, con ricavi complessivi per 106 miliardi (contro i 95 previsti nel periodo 2024-2028). Queste stime sarebbero frutto dei nuovi accordi di partenariato che il gruppo Leonardo ha sottoscritto nei mesi scorsi con altre importanti aziende del comparto bellico. Il 6 marzo è stato firmato un memorandum of understanding con Baykar Technologies (la società turca di proprietà di uno dei generi del presidente Erdogan che ha rilevato il gruppo Piaggio Aerospace con sede e stabilimenti in Liguria) per lo sviluppo, produzione e manutenzione di sistemi aerei senza pilota presso i siti di Leonardo di Ronchi dei Legionari (Gorizia), Torino, Roma Tiburtina e Nerviano (Milano). La società italiana spera di ricavare da questo accordo più di 600 milioni nel quinquennio 2025-2029. Il 24 febbraio 2025 è stata costituita invece una joint venture con il colosso tedesco Rheinmetall (ha preso il nome di Leonardo Rheinmetall Military Vehiche). 

Ad essa il governo Meloni-Crosetto, con il voto bipartisan del Parlamento ed il sostegno delle maggiori organizzazioni sindacali, affiderà (senza bando di gara) la produzione di 1.050 cingolati AICS/A2CS e 272 carri armati MBT da destinare all’Esercito italiano per armare la Brigata Corazzata “Ariete”, la Brigata Bersaglieri “Garibaldi” e la nuova Brigata Meccanizzata che sarà creata entro il 2030. La joint venture italo-tedesca è controllata pariteticamente al 50% da Leonardo e Rheinmetall, ha sede giuridica a Roma presso Rheinmetall Italia Srl e sede operativa a La Spezia presso gli ex stabilimenti OTO Melara del gruppo Leonardo. Stando all’accordo stipulato dai due gruppi industriali, solo il 60% della produzione dei nuovi sistemi da combattimento terrestri sarà svolta in Italia. Anche il know how è nettamente a favore dei tedeschi: i cingolati AICS deriveranno dai Lynx Kf-41 progettati e realizzati da Rheinmetall, mentre i carri armati MBT deriveranno dal Panther Kf-51. Il costo dell’intero programma non è stato ancora determinato ma è prevedibile che esso supererà abbondantemente i 23,2 miliardi di euro nei prossimi 15 anni. Una parte (12-15%) della produzione delle componenti destinate ai nuovi cingolati e carri armati sarà affidata dalla joint venture alla Iveco Defence Vehicles (IDV), la divisione dei veicoli militari del gruppo controllato da Exor presieduto da John Elkann, con sede centrale a Bolzano. “Il contributo di IDV verterà soprattutto sulla componente motore e cambio/trasmissione ma potrebbe riguardare anche elementi relativi alla protezione”, ha rilevato Rivista Italiana Difesa. La società del gruppo Exor è partner di Leonardo tramite la controllata OTO Melara in un altro programma dell’Esercito italiano, relativo alla produzione dei veicoli blindati Centauro I e II. 

Proprio in vista del consolidamento monopolistico della produzione bellica in ambito ReArm Europe, l’8 maggio 2025, Leonardo e Rheinmetall hanno reso noto di aver presentato un’offerta per acquisire Iveco Defence Vehicles. Secondo fonti giornalistiche, l’offerta ammonterebbe a circa 750 milioni di euro, ma gli analisti ritengono che il valore di mercato della società di Bolzano sia di 1,5 miliardi di euro. Per racimolare i necessari capitali finanziari per l’operazione IDV, Leonardo SpA ha ceduto una quota societaria della controllata statunitense DRS per 340 milioni e ha sottoscritto un accordo con l’holding a capitale pubblico Fincantieri SpA per la vendita di Wass, la divisione armamenti navali con stabilimento a Livorno, per 415 milioni di euro. L’Ad Roberto Cingolani ha spiegato che con l’offerta di acquisizione di Iveco Defence Vehicles, Leonardo punta a rafforzare il proprio ruolo in ambito europeo nel settore dei mezzi blindati e da trasporto militare. In particolare l’auspicato polo Leonardo-Rheinmetall-IDV si candiderebbe a diventare fornitore unico per il nuovo programma plurimiliardario di trasporto blindato promosso dall’Unione Europea. Articolo pubblicato in Lavoro e Salute, n. 6 giugno 2025
https://www.academia.edu/129965671/ReArm_Europe_NATO_e_UE_si_preparano_alla_Terza_Guerra_Mondiale

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