Fuori la Guerra da Scuole, Ricerca e Università! Intervento di Antonio Mazzeo, giornalista e autore de "La scuola va alla guerra"




12 maggio 2025

Intervento di Antonio Mazzeo, giornalista e autore de “La scuola va alla guerra” 

"Grazie a tutti. In Italia la guerra non è alle porte di casa, la guerra è in casa. 
Qualche giorno fa abbiamo avuto modo di scoprire che a Brindisi, la Brigata Marina San Marco, reparto d’élite delle forze armate italiane integrato in ambito NATO, sta addestrando per lo meno dall’ottobre 2023, le forze di pronto intervento dell’esercito ucraino, aggiungendosi così ai reparti dell’esercito che stanno addestrando o hanno addestrato in territorio italiano reparti ucraini, penso particolarmente nella regione Lazio. Già le compagne sarde, Paola del movimento No base di Pisa e la compagna del comitato No base di Firenze si sono soffermate sul fatto che lo stato di guerra in atto stia interessando direttamente il processo di militarizzazione dei territori e come la spinta all’ampliamento e alla presenza delle basi militari nei territori si leghi alla riconversione economica di ampi settori produttivi alla produzione di armi. Tutto ciò si integra pure con la militarizzazione della logistica, in quei settori come porti e aeroporti, strade e autostrade, linee ferroviarie, ecc. che vengono sempre più impiegate come sistema “dual”, cioè per fini civili (sempre meno) e sempre più per fini militari. Tra l’altro l’Unione Europea a partire del 2014 ha attivato finanziamenti, di cui l’ultimo 2 anni fa, per circa 1 miliardo e 800 milioni di euro, proprio per ridurre i gap che non consentono o rallentano il trasferimento di armi, munizioni e mezzi dall’Europa occidentale all’Europa orientale. L’Italia, nell’ambito della militarizzazione delle infrastrutture logistiche - in particolare in Toscana e nell’area ligure dei comprensori di Genova e La Spezia che hanno una centralità nell’economia e nella logistica di guerra - ha visto finanziati 3 progetti dall’Unione europea. In particolare si è puntato a migliorare l’interconnessione della rete ferroviaria a quella portuale (nei porti di Genova e La Spezia), così come sull’autostrada Genova-Milano a Serravalle, per consentire un transito più rapido dei mezzi pesanti da guerra verso il nord-est della penisola e da lì verso l’Europa orientale e l’Ucraina. Ricordiamo altresì che appena qualche mese Trenitalia e Leonardo SPA hanno siglato un accordo strategico per mettere insieme conoscenze, intelligenze, know-how per facilitare proprio l’impiego della rete ferroviaria nella logistica di guerra e anche nel sistema di controllo di “Global Security”. C’è da dire che non può esserci militarizzazione dei territori, dell’economia e della logistica, senza la militarizzazione culturale e dell’informazione. Abbiamo visto cosa è accaduto nel nostro paese, con un racconto univoco della stampa mainstream, radiotelevisiva o nei social, che ha legittimato modelli di guerra, la cultura e le operazioni di guerra e lo stesso intervento delle forze armate in ambito nazionale (anche per funzioni di ordine pubblico e repressione) e internazionale. Credo che con serenità dobbiamo riconoscere che quanto accade in questi mesi segue quanto stato sperimentato durante l’emergenza COVID e nell’emergenza post-COVID, di fatto consegnando alle forze armate l’intera gestione del sistema sanitario (dalla somministrazione dei tamponi fino alle campagne per i vaccini), e soprattutto utilizzando da parte dei media un linguaggio di tipo bellico. Il nostro paese è stato quello più colpito dalla militarizzazione dell'emergenza sanitaria Covid e post-Covid. Vorrei ricordare, perché probabilmente lo abbiamo sottovalutato, che il Governo mise a capo di quel sistema il generale Francesco Paolo Figliuolo, capo degli Alpini, credo non casualmente perché ciò ha permesso che passasse con maggiore accettazione dall’opinione pubblica, cosa che invece non sarebbe accaduta se avessero scelto un generale al comando della Brigata Folgore e Tuscania. Se fosse accaduto questo, probabilmente molti di noi avremmo avuto un pugno nello stomaco, ma dato che gli alpini in Italia passano ancora come un reparto non di guerra, un reparto non militare, a essi viene consentito di tutto (si veda ciò che succede alle loro feste annuali), e questa cosa, purtroppo, è passata indolore. Avremmo dovuto ricordare però in quella fase che il generale Figliuolo stava ricoprendo una duplice posizione, perché era contemporaneamente ancora Capo del COVI, cioè il Comando Operativo delle Forze Armate, che presiede a tutte le 40 missioni militari internazionali, cioè le missioni di guerra italiane. Il generale Figliuolo, dopo aver gestito l'emergenza Covid è stato successivamente chiamato alla gestione della post emergenza dell’alluvione che ha colpito la Regione Emilia-Romagna, territorio che era stato in passato fondamentale nella costruzione di po0loitiche del welfare e di sperimentazione di percorsi di protezione civile realmente partecipativi e vicini ai bisogni delle popolazioni. Ovviamente questo processo di militarizzazione globale non poteva assolutamente lasciare fuori il sistema dell'istruzione e il sistema universitario: consentitemi di dire che oggi l'Italia sta sperimentando in questi campi quel che è stato un percorso strutturale e inter- istituzionale per affermare il modello bellico-repressivo israeliano. Israele si è caratterizzata in questa sua capacità di mettere insieme, di far lavorare sinergicamente, forze armate, servizi segreti da una parte, le start-up, il complesso militare industriale israeliano e dall'altra parte il mondo della ricerca e quello accademico-universitario. Si è creato cioè in Israele un modello di sistema in cui le università si sono messe a disposizione delle aziende belliche e delle forze armate per sviluppare ricerche per produrre e sperimentare nuove tecnologie a fini militari, consentendo così che Israele si affermasse come potenza bellica e nucleare a livello internazionale. Pensiamo a quanto sta accadendo in questi mesi a Gaza con il genocidio perpetuato contro il popolo palestinese, soprattutto utilizzando sistemi di intelligenza artificiale, droni, robot, ecc., che sono stati sviluppati proprio nelle aule e nei laboratori degli istituti universitari. La guerra a Gaza è una grande vetrina del know-how del complesso militare israeliano e dei centri ingegneristici e scientifici universitari. Ma hanno assunto un ruolo chiave anche le cosiddette facoltà umanistiche, i dipartimenti di sociologia, giurisprudenza e scienze politiche, ecc. Essi, con i loro studi, hanno costruito l'identità stessa dello stato dell’apartheid israeliano, e questo non va assolutamente sottovalutato, perché questo modello lo si sta riproducendo in Italia. Le università oggi, come ricordava il compagno che ha presentato il panel, hanno un ruolo fondamentale nella ricerca tecnologica e di nuovi sistemi d'arma. Se avrete modo di entrare sul sito del Ministero della Difesa, troverete che proprio nelle ultime settimane, attraverso i fondi di PNRR, sono stati finanziati innumerevoli progetti di ricerca di nuove tecnologie: uno tra l'altro riguarda anche un reattore nucleare che dovrebbe essere montato a bordo delle navi militari, un progetto che risale agli anni 50 che era stato congelato. Ancora i cittadini di Pisa ne pagano le conseguenze per quella scelta scellerata di puntare al nucleare militare, penso cioè al reattore presente al CISAM. Ciononostante, oggi si rilancia il sogno dei dottor Stranamore nostrani di rilanciare l’idea di dotare unità navali e sottomarini di propulsori nucleari e lo si fa grazie all’intervento delle Università. In caso specifico sarà quella di Genova a collaborare con il Gruppo Ansaldo e ad altri partner economici al progetto di riarmo nucleare delle forze armate italiane. Ma come dicevo prima, attenzione, perché con i fondi del PNNR sono stati finanziati altri progetti che vedono operare insieme istituti accademici e industrie militari. Voglio ricordare proprio perché siamo a Pisa, il ruolo assunto e che purtroppo continuerà ad avere la Scuola Superiore Sant'Anna, uno dei primi centri di eccellenza accademici che ha prestato le proprie funzioni a favore delle forze armate, non soltanto dal punto di vista ingegneristico o dal punto di vista tecnologico, ma anche dal punto di vista prettamente politico-culturale. Voglio altresì ricordare quanto fatto già 15 anni fa da un centro universitario che per la mia generazione è stato fondamentale per poter riconoscere e analizzare le complessità e le problematiche sociali che attraversavano il nostro Paese e che è stato importantissimo per lo sviluppo dei movimenti studenteschi che si sono opposti al pensiero unico dominante. Mi riferisco alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bologna che tre lustri fa firmava i primi contratti di ricerca con le agenzie della NATO, in particolare il dipartimento che ha sede nella città di Forlì, per fornire quelle conoscenze e analisi su svariate problematiche sociali, penso innanzitutto alle migrazioni dal continente africano verso l’Europa, le crisi climatiche, ecc., assunte poi come “criticità” da parte della NATO e che per contrastarle è stato dato vita ad un controverso processo di trasformazione e di proiezione globale. Grazie a questa trasformazione strutturale e della missione-visione, la NATO oggi sostituisce le Nazioni Unite, è pronta e capace di intervenire in ogni scenario di guerra, e non soltanto militarmente attraverso i cacciabombardieri e i bombardamenti sulle popolazioni, ma costruendo anche quell'immagine di una NATO che agisce in tutte quelle aree e crisi sistemiche che potrebbero mettere in crisi “il modello di sicurezza dell'Occidente”. Citavo poco fa, grazie anche all'Università di Bologna i temi delle migrazioni e delle emergenze climatiche. Un esempio ancora per comprendere il livello quantitativo e qualitativo fornito dalle Università italiane al complesso militare- industriale ci arriva da Torino, dove il gruppo Leonardo SPA, insieme al Politecnico, sta dando vita alla realizzazione di una grande “cittadella aerospaziale” che rappresenterà una grande centro d’eccellenza per le prospettive di investimento del gruppo Leonardo che punta particolarmente allo sviluppo del settore aerospaziale (principalmente militare), a quello dei droni, della digitalizzazione e dell'automatizzazione. Il Politecnico di Torino congiuntamente, infatti, con Leonardo e una serie ormai infinita di start up che nascono spesso direttamente nei laboratori del Politecnico sta progettando questo grande modello di ricerca-progettazione e che tra l'altro avrà un peso enorme nella trasformazione urbana di Torino. Per la nuova Cittadella aerospaziale si stanno sottraendo grandi aree e superfici a quelli che sono i bisogni reali del territorio locale. Torino è una città che sta pagando un peso enorme dal punto di vista dell'assenza o della difficoltà di abitazioni a scopi sociali; gli studenti dell'Università di Torino e del Politecnico hanno enormi difficoltà a poter avervi accesso, come purtroppo succede anche a Pisa e in altre città che si sono caratterizzate come importanti poli universitari. Ebbene, un'area che potrebbe essere utilizzata e riconvertita a scopi di abitazione sociale e studentesca, diventa invece una grande fortezza industriale-militare. E le conseguenze urbanistiche a medio termine non interesseranno solo Torino, ma ci saranno effetti domino su tutta l'economia e il sistema produttivo e sociale nelle regioni Piemonte e Lombardia. Sono innumerevoli le start up “incorporate” in questo progetto di cittadella aerospaziale e lo stesso guarda con enorme attenzione anche alle piccole e medie aziende del Piemonte e della Lombardia, che grazie a questo vero e proprio processo di militarizzazione dell’industria e dell'economia, sperano anche di avere accesso ai nuovi finanziamenti dell'Unione Europea e della Banca di investimenti europea finalizzati alla riconversione di interi comparti delle attività produttive dal civile al militare. Un esempio ci viene da quello che sta accadendo con alcuni interventi sulla “digitalizzazione” e ristrutturazione industriale, promossi dalla Commissione europea: piccole imprese che mai hanno prodotto un bullone per la produzione militare, grazie a incentivi e finanziamenti ad hoc possono convertire parzialmente o totalmente la propria produzione su domanda del gruppo Leonardo e delle aziende controllate, dalle grandi aziende del comparto bellico, producendo componenti dal punto di vista militare. Per capire l'effetto domino di questo processo di militarizzazione avviato attraverso gli accordi tra università e complesso militare industriale va altresì segnalato che qualche giorno fa i manager di Leonardo, in audizione alla Commissione Difesa della Camera, hanno annunciato che a Caselle, cioè all'aeroporto di Torino, intendono realizzare il grande stabilimento per la produzione del caccia di sesta generazione. Cioè, mentre a Cameri, in provincia di Novara, non è stata completata ancora la produzione di cacciabombardieri a capacità nucleare come gli F35, che costano e costeranno al bilancio pubblico decine e decine di miliardi con tagli devastanti alla spesa di welfare, c’è già la stessa Leonardo che si proietta alla ricerca di tecnologie di morte per la sesta generazione di cacciabombardieri, ovviamente grazie alla collaborazione di istituti scientifici di ricerca e università. Questo progetto plurimiliardario è realmente una follia anche dal punto di vista economico: mentre l’Unione europea sta investendo grandi risorse finanziarie per avviare lo sviluppo di un caccia di sesta generazione made in Europe, l’Italia ha deciso di abbandonare l'Unione Europea e di realizzarsi questo caccia oltreché con la ricerca scientifica universitaria, firmando un'alleanza col complesso militare industriale giapponese e del Regno Unito. Davvero la follia dei signori delle industrie belliche nazionali non sembra aver limiti. Di fronte a tutti questi dissennati e pericolosissimi scenari, credo sia arrivato il momento che venga ripresa in tutto il Paese una nuova stagione di lotte e che si arrivi anche nelle università a porre al centro dell'attenzione la necessità reale di chiudere la partita, innanzitutto con quelle aziende del comparto militare-industriale, prima fra tutte Leonardo SpA. Dobbiamo inoltre provare a destrutturare la narrazione tossica che oggi viene fatta per giustificare le collaborazioni tra la ricerca accademica, forze armate e industrie militari. Dobbiamo ad esempio smantellare il luogo comune che nelle Università oggi non si può fare ricerca in Italia senza l’apporto e le partnership con il complesso militare industriale. Io sfido i rettori, sfido i presidenti, presidi, sfido i docenti universitari a dimostrare che le università abbiano un beneficio anche di un euro, di un centesimo di euro grazie alle collaborazioni con Leonardo. Di contro si sta riproducendo nelle università il modello classico in cui i fondi pubblici vengono utilizzati per far fare affari alle aziende private. Sono top secret, come se fossero segreti militari, gli accordi bilaterali che quasi tutte le università italiane hanno sottoscritto con Leonardo. Uno solo è pubblico e lo si può trovare in rete: si tratta di quello che è stato sottoscritto dalla Sapienza di Roma, la principale università in termini di addetti, in termini di studenti e anche in termini di bilanci, per cui dubito che altre università più piccole a livello locale abbiano strappato rapporti di forza maggiori. Io invito a leggere questo documento perché esso rappresenta proprio l'emblema di un modello in cui vengono sperperate le risorse pubbliche per gli affari dei privati. Dalla lettura dell’accordo, si evince di fatto, che la Sapienza non riceve nulla o quasi da Leonardo; essa invece apre i propri laboratori e mette a disposizione di Leonardo i propri ricercatori, i propri docenti, i propri studenti e poi quando eventualmente si ottiene un risultato dalla ricerca comune, vedi l'articolo 6 di questo accordo, quello sui brevetti, ebbene l'università dice: 'Io rinuncio a tutto i brevetti se li tiene Leonardo e li potrà tranquillamente utilizzare per fare profitti”. Ecco, questa è una prima narrazione tossica che dobbiamo contrastare. Nelle università dobbiamo imporre ricerche per dimostrare esattamente quali sono le drammatiche conseguenze per la società e per l'economia italiana prodotte dal complesso militare industriale. Invece le università vengono aperte alle passerelle di Leonardo, di Fincantieri o della Beretta e alle studentesse, agli studenti e ricercatori si propone il complesso militare industriale come una grande opportunità occupazionale. Ebbene, anche su questo, la dobbiamo smettere di veicolare falsità: l'università dovrebbe fare veramente ricerca scientifica e verificare come il complesso militare industriale oggi non produca neanche lo 0,5% o 0,7% del PIL del nostro paese, nonostante esso ed i suoi manager impongano oggi enormi tagli alla spesa sociale o le scellerate scelte di politica militare (vedi ad esempio la partecipazione delle forze armate ad una quarantina di missioni di guerra nel mondo). Generano molto meno dell’1% della ricchezza ma si comportano come se il loro apporto sia pari al 30-40% del PIL. Anche per quello che riguarda il settore occupazionale dobbiamo imporre all'università di adempiere al dovere di analizzare scientificamente la questione in vista di una contro-narrazione. Invece le università oggi esaltano il ruolo occupazionale del comparto bellico con i propri studenti quando le stesse hanno decuplicato fatturati e dividendi per gli azionisti- macchiandosi e sporcandosi le mani esportando armi in Israele per il genocidio contro il popolo palestinese - mentre un solo addetto in più non è stato assunto. Guardiamo Leonardo: 30.000 dipendenti risultavano dal bilancio societario nel 2020 e 30.000 continuano ad essere nel 2024: questo per dire che l’escalation dell’export di morte ai paesi in guerra non ha prodotto un solo posto di lavoro in più. Lo stesso va detto rispetto a ENI, di cui si è parlato poco in questi anni, ma ENI è forse molto più di Leonardo una presenza ingombrante, come accennava anche Paola poco fa, all'interno delle università. Ebbene, proprio l’ENI, forse ancora di più di Leonardo, si è sporcata le mani con i crimini che Israele sta compiendo a Gaza, in West Bank, in Libano, in Siria e in Yemen e che probabilmente estenderà presto anche contro l'Iran. Nei mesi scorsi ENI ha sottoscritto accordi con società che hanno sede nel Regno Unito e che stanno facendo ricerche che producono circa 100.000 barili di petrolio al giorno nei mari del Nord, riproducendo il modello del fossile che sta contaminando e devastando il pianeta. Ma se facciamo una ricerca alla Camera di Commercio del Regno Unito, scopriamo che queste società registrate in Gran Bretagna sono controllate al 100% da capitale finanziario dai grandi colossi energetici che hanno sede in Israele e i cui interessi estrattivisti nel Mediterraneo orientale probabilmente sono la vera causa per cui Israele, dopo il 7 ottobre 2023, ha provato a chiudere “definitivamente” la partita con il popolo palestinese e la Striscia di Gaza. Se si fosse rispettato il diritto internazionale e le norme relative al rispetto del controllo delle acque territoriali, quelle aree estrattive a cui oggi punta Israele per diventare un grande esportatore di gas e petrolio, sarebbero di proprietà del popolo palestinese. E non dovremo dimenticare che proprio alla vigilia del 7 ottobre, il gruppo ENI aveva firmato accordi con l’autorità energetica israeliana per avviare le attività di ricerca proprio a ridosso della costa di Gaza. Proprio per tutto questo credo che sia arrivato il momento per promuovere una grande campagna di boicottaggio delle università israeliane, contro qualsiasi tipo di relazione con esse. Ma lo stesso deve essere fatto contro quegli accordi che le università e purtroppo anche la scuola italiana, hanno firmato con Leonardo e l’ENI. Queste due grandi aziende a capitale statale stanno ormai occupando innumerevoli spazi educativi nelle scuole italiane, imponendo programmi, progetti e la stessa formazione e l’aggiornamento dei docenti e degli studenti. Leonardo ha le mani sporche di sangue: ce l'hanno ricordato le compagne e compagni studenti che hanno occupato le università, che hanno occupato i centri universitari. Ma anche due o tre delle sei zampe del colosso energetico italiano hanno le mani sporche del sangue del popolo palestinese. Io mi auguro e auspico che parta veramente una grande campagna di rottura di questi legami, su cui già in alcune università, alcuni collettivi si stanno muovendo. E’ davvero arrivato il momento di imporre uno dei principi fondamentali e fondanti delle università e della ricerca: le università e la ricerca lavorano e possono solo lavorare nella costruzione di progetti di pace e di cooperazione. Quando le università si mascherano sotto il falso modello del “dual” e fanno finta di non sapere che quello che stanno facendo è funzionale alla realizzazione di strumenti di morte o all’affermazione della cultura di morte, stanno esattamente negando la loro funzione originaria e la loro identità. 

Intervento al Convegno “Fermare la Guerra in Casa” tenutosi il 14 dicembre 2024 al Circolo Agorà di Pisa e promosso da Potere al Popolo Toscana. 

https://www.academia.edu/129303510/Fuori_la_Guerra_da_Scuole_Ricerca_e_Universit%C3%A0_Intervento_di_Antonio_Mazzeo_giornalista_e_autore_de_La_scuola_va_alla_guerra_

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